Anche nel marketing tutto cambia, compresa l’immagine di un’azienda. Quando questo accade, si parla di “Rebranding”, ovvero di una serie di operazioni che conducono a un aggiornamento dell’identità del marchio. Tale concetto può in primis sembrare controintuitivo, in quanto un brand in genere deve rimanere coerente con i suoi valori per mantenersi come riferimento per il cliente, ma è in realtà la conseguenza della continua evoluzione del mercato.
Nell’intraprendere un processo di rebranding, strategie efficaci di marketing sono una necessità impossibile da trascurare. L’azienda deve trovare il giusto equilibrio tra novità e tradizione, in modo da generare un cambiamento senza però perdere il legame con la sua storia.
Rebranding – significato
Il rebranding può anche essere definito una rivitalizzazione della marca. Si tratta di un’importante operazione strategica di revisione della brand identity, che può essere intrapresa per diversi motivi:
- Apertura del brand a nuovi mercati.
- Cambiamenti occorsi nel settore dove il brand opera.
- Rinnovamento del proprio modello di business.
- Espansione del proprio target di riferimento.
Iniziative di rebranding di diversi marchi possono pertanto presentare caratteristiche e portata di interventi anche notevolmente differenti. In alcuni casi il rebranding coincide con un restyling limitato alla componente visuale dell’azienda; in altri invece il cambiamento può essere più profondo, con l’obiettivo di ridefinire la value proposition stessa del brand.
Rebranding strategie e tipologie
È quindi più corretto parlare di tipologie di rebranding. Per comodità se ne possono identificare due macrocategorie, teorizzate da Muzellec e Lambkin nel corso dei loro studi sull’argomento:
- Rebranding evolutivo: rientrano in questo gruppo cambiamenti più discreti e quindi meno percettibili dai clienti. Si realizzano in genere modificando gli elementi grafici (Marking Aesthetics). Sono dunque al centro del rebranding, logo, font, colori o packaging. Può riguardare anche elementi testuali quali claim o payoff.
- Rebranding rivoluzionario: fanno parte di questa categoria le operazioni rebranding più radicali, che portano a un riposizionamento sul mercato e a un cambiamento più netto e percepibile. In alcuni casi, l’azienda potrebbe addirittura cambiare nome.
Alla precedente, si affianca un’ulteriore suddivisione proposta dal The Economic Times:
- Rebranding proattivo: in questi casi le aziende decidono di rinnovare la propria brand identity sulla base di valutazioni interne. Sono i casi in cui si vuole raggiungere un nuovo mercato, rinnovare il target con un prodotto o un’intera linea di prodotti innovativi o più in generale evolvere il proprio business.
- Rebranding reattivo: la causa del rebranding proviene in questo caso da cambiamenti esterni. Esempi validi possono essere la fusione con un’altra azienda, un problema legale nell’uso del vecchio marchio, un’innovazione nel mercato (magari apportata dai competitor diretti) o un grande cambiamento nel target di riferimento.
Qualsiasi sia la tipologia, è importante che esso venga realizzato per raggiungere degli obiettivi precedentemente fissati. Le strategie di rebranding devono tenere anche conto di come si comportano i competitor e le buyer personas. In fase di programmazione è altrettanto importante definire con attenzione il budget da allocare al progetto di rebranding e curare una comunicazione efficace, che renda chiaro il cambiamento al proprio pubblico.
Rebranding: quando effettuarlo
Data l’eterogeneità di fattori che determinano il posizionamento sul mercato di un’azienda, non esiste una regola universale che stabilisce quando fare rebranding. Significato dell’innovazione, strategie di mercato, svecchiamento del brand, sono tutti elementi che determinano il tempismo del processo di rivitalizzazione della marca.
In genere, per quanto un’azienda possa essere coerente nel tempo, è auspicabile un periodico rebranding. Il logo ad esempio è una delle componenti della brand identity più spesso soggetta a revisioni. Modificarlo o ridisegnarlo può essere un modo per veicolare ancora più attenzione sul lancio di un nuovo prodotto, sull’apertura di un nuovo touchpoint o semplicemente può coincidere con il desiderio del brand di restare al passo coi tempi.
Nel caso di rebranding reattivi il cambiamento è peraltro obbligatorio: in occasione di fusioni aziendali, crisi reputazionali o di un’espansione su nuovi mercati sono i fattori esterni a indicare la necessità di cambiare qualcosa.
Rebranding – esempi
Analizziamo infine, per comprendere ancora meglio come fare rebranding, esempi pratici che riguardano grandi marchi. Un caso particolarmente interessante è quello di Alitalia. Trasformatosi in ItaAirways, la compagnia di bandiera nostrana ha mantenuto dopo il rebranding, un logo con stile e colori simili per comunicare una certa continuità. Al contempo, la livrea degli aerei è stata ricolorata di azzurro, per esaltare l’italianità dell’azienda.
Quello di Burger King è invece un caso di rebranding di logo realizzato per adeguarsi ad un’estetica più contemporanea. Nel 2021, dopo circa 20 anni, la catena di fast food ha abbandonato il vecchio design tipicamente anni ’90 in favore di un’alternativa più minimale, mantenendo però in buona parte i colori classici.
La ricerca di un’estetica più essenziale e diretta ha interessato anche molte società sportive, che nel marketing moderno sono equiparabili a veri e propri brand. Un esempio recente è quello dell’Inter che, specie per rendersi più riconoscibile sui mercati asiatici, ha stilizzato il suo logo dando risalto alle lettere “I” ed “M” per rinsaldare il legame con la città di origine e con la vocazione internazionale della squadra.
Ultimo esempio di rebranding, il logo di Peugeot dopo la fusione con FCA e la nascita del gruppo Stellantis. In questo caso il design più aggressivo esalta l’anima sportiva dell’azienda, segnando di fatto un riposizionamento sul mercato del brand francese.
Leggi anche l’articolo: Siti responsive: caratteristiche, vantaggi ed errori da evitare